WIP 2 - Il mito greco

Non è possibile affrontare lo studio della letteratura greca senza tenere conto dell’importanza che il mito assume nella formazione dei testi poetici e, più in generale, nella cultura arcaica. Il mito non è un ornamento poetico (come diventerà in fasi successive della letteratura europea), ma un elemento sostanziale per il funzionamento di una società tradizionale. In una società come quella greca di un’epoca arcaica, e come sono in generale le culture tribali, il mito contiene e trasmette il patrimonio di idee, tradizioni, istituzioni sociali e religiose, genealogie che costituiscono la cultura, nel senso lato del termine, di un popolo illetterato. Esso si può definire un «racconto tradizionale» trasmesso, in origine, oralmente (muqoV significa “parola”, “racconto”). Un mito non è dunque inventato da un singolo poeta: questi lo trova già pronto nella memoria collettiva del suo popolo e lo impiega nel corpo della sua opera; ma poiché un mito prende forma solo quando viene raccontato e può essere raccontato ogni volta in modo diverso, ne deriva un labirinto di varianti che danno forme differenti allo stesso racconto.
Solitamente un mito narra un evento che si pensa accaduto in un lontano passato e compiuto da personaggi che assumono agli occhi dell’uditorio una statura più che umana (dèi, eroi); tuttavia, questo racconto non è considerato leggendario ma reale, anche se di una realtà diversa da quella quotidiana. In una civiltà illetterata il patrimonio dei miti funge infatti da serbatoio di sapienza e contribuisce a conservare l’identità di un popolo, attraverso racconti in cui ciascuno si riconosce e si identifica. Ad esempio, trasmette la storia sacra (ossia i racconti sulla nascita e le vicende degli dèi); motiva le origini di una scoperta o di un rituale (come il mito di Prometeo, che spiega l’origine del fuoco; in questi casi si parla di mito «eziologico», vale a dire che spiega l’aitia, la “causa”); più generalmente, il mito propone modelli di comportamento ai quali attenersi e trasmette il sistema di valori morali della civiltà. Pertanto, penetrare nel mondo mitico di un popolo tribale significa penetrare sino al cuore della sua civiltà.
Il mito è anche un modo di pensare: è frutto di un pensiero che si sviluppa non attraverso schemi logici e astratti ma per immagini. Si è detto – e la psicoanalisi l’ha ampiamente dimostrato – che il pensiero mitico non è caratteristico solo di una civiltà arcaica, ma sussiste in ogni individuo come schema profondo della mente. Il sogno, ad esempio, è un fenomeno che dimostra quanto stretto sia il legame tra la vita inconscia e l’attività mitica della psiche, poiché utilizza gli stessi elementi costitutivi del mito (i simboli, i rituali, le metafore), e lavora con lo stesso linguaggio visivo e immaginario (da cui la definizione secondo cui «il mito è il pensiero sognante di un popolo, mentre il sogno è il mito personale dell’individuo»). È soprattutto il pensiero di Carl Gustav Jung a collegare il sogno e il mito a una comune origine di archetipi simbolici che costituirebbero i modelli più profondi e universali della psiche umana; ma il legame tra sogno e mito è analizzato da tutte le scuole psicoanalitiche contemporanee, a partire da Freud. Questo non significa però che il mito sia un tipo primitivo di pensiero e che il pensiero mitico sia proprio di popolazioni che ancora non hanno imparato a ragionare in termini logici. Piuttosto, il pensiero mitico è complementare a quello logico-razionale che in una società illetterata viene attivato per rispondere a determinate necessità (appunto, quella di conservarne la cultura). In un certo senso, si potrebbe dire che il mito è una specie di «filosofia primitiva». La cultura greca presenta, in effetti, uno sviluppo dal pensiero mitico a una prima elaborazione di carattere logico-filosofico: già nell’età arcaica si cominciava a dubitare della verità dei miti e a cercarne un’interpretazione razionale. Alcuni pensavano che i racconti sugli dèi fossero soltanto allegorie delle forze naturali, come il sole o il fuoco (così nel secolo VI a.C. Teagene di Reggio interpretava i miti omerici).
(Giulio Guidorizzi, Letteratura greca. L’età arcaica, Einaudi, Torino 1996)

WIP 3 - Il tempio

L’evoluzione del concetto della costruzione sacra – che noi definiamo col termine «tempio», facendolo derivare dal latino templum che indica il recinto sacro – ruota attorno al senso che gli uomini nel tempo e nelle diverse culture hanno attribuito ad essa.
Il tempio è quasi dovunque pensato come la casa della divinità. I primi uomini usarono, per le loro celebrazioni sacre, siti naturali che ritenevano essere abitati da forze sovraumane o divine che abbellirono con pitture, incisioni o sculture. In seguito alcune popolazioni iniziarono a costruire templi posti fuori dai villaggi. Quando vennero costruite le prime città, la casa della divinità venne portata a risiedere là dove dimorano gli uomini.
Molto raramente il tempio è considerato un luogo costruito per permettere all’uomo di pregare o di mostrare la devozione nei confronti della divinità adorata in quello spazio, tuttavia ciò può accadere. È il caso di alcuni templi indu, dove gli uomini si possono recare per offrire latte, burro chiarificato, fiori e frutta. Qualche volta i fedeli credono che in questi luoghi si possa incontrare Dio.
L’uomo si reca al tempio perché con i sacrifici e le offerte di primizie dà a Dio la possibilità di “sopravvivere”, o meglio di “conservarsi presente lì”. A questo servono le cure che vengono riservate dagli specialisti del sacro alle statue che rappresentano la divinità. Presso molte religioni si crede che l’offerta di cibi, frutta e animali, siano i “nutrienti” necessari a rinvigorire la divinità, che in questo modo può continuare ad assicurare la sicurezza sociale del gruppo.
Col passare del tempo, diventa sempre più evidente che il luogo più sacro del tempio, cioè la “cella” (il cuore del tempio chiamato naos dai greci e Santo dei Santi dai popoli semiti), deve essere considerato come luogo inaccessibile a tutti quelli che non fanno parte del servizio diretto della divinità. Il naos è la piccola cappella che custodisce il simulacro della divinità. Attorno al naos altre piccole cappelle minori e poi cortili, colonnati, sale ipostile, magazzini e scuole teologiche: tutto costituisce il tempio, casa del dio, santuario (luogo sacro). La forma esteriore, la grandiosità, i materiali mutano a seconda del periodo storico, della cultura umana e religiosa in cui ci si trova. Ma fondamentalmente resta un fatto (a partire dalle grandi civiltà storiche del mondo antico): il sacro non rimane più completamente fuori della cinta muraria, ma entra dentro la città e si avvicina agli uomini.

WIP 3 - Luoghi di pellegrinaggio

I pellegrinaggi sono fenomeni religiosi che si riscontrano in gran parte delle religioni. Nella Grecia antica famosi erano i santuari (“luoghi santi”) di Delfi e di Delo o di Epidauro, centro in cui si praticava il culto del dio della medicina Asclepio, ma anche Eleusi, ove venivano celebrati i misteri. Il tempio di Artemide di Efeso era un centro a cui giungevano masse di fedeli che portavano in dono ricchezze da offrire alla dea.
Nell’Israele antico luoghi di pellegrinaggio furono le tombe di Macpela a Hebron, dove vennero sepolti i patriarchi, ma anche i santuari di Silo, Sichem, Bet-el e per ultima Gerusalemme, sede del Tempio.
Per il cristianesimo luoghi di pellegrinaggio riconosciuti dalla maggioranza dei fedeli sono prima di tutto il sepolcro di Gesù e i luoghi che ricordano gli episodi più importanti riportati dai Vangeli. Significativi sono anche Roma, Santiago di Compostela, Fatima, Lourdes, Lisieux, Mont-Saint-Michel, Assisi, Loreto, Padova, San Michele del Gargano, La Sacra di San Michele, Czestochowa, Calvaria di Kracovia.
La Chiesa ortodossa, oltre a Gerusalemme e ai luoghi della Terra Santa, ricorda anche il Monte Athos, Mosca col Cremlino, Kiev, la Vergine di Kazan.
Per l’islam ricordiamo La Mecca, presso cui ogni musulmano che ne abbia la possibilità deve recarsi almeno una volta nella vita (è uno dei pilastri della fede), Medina, Gerusalemme.
In India troviamo Hardwâr dove il Gange scaturisce dall’Himalaya, Benares, Amritsar, santuario dei Kikh, i quattro luoghi della presenza e dell’esperienza del Buddha, Lhasa.
Tuttavia l’elenco fornito, oltre che essere insufficiente, non rende conto di un fenomeno che è molto più vasto. Grandi e piccoli territori, persino villaggi, conoscono l’usanza di pellegrinaggi stagionali che spostano gran parte della popolazione in momenti particolari dell’anno. In questo modo il tempo e lo spazio vengono sacralizzati e le comunità e i singoli che si muovono sul territorio hanno modo di compiere un rinnovamento personale e la ricostituzione del gruppo. Il pellegrino si mette per strada, si pone in viaggio e in cammino verso la casa della divinità o un luogo frequentato da una figura intermedia, un santo o una divinità inferiore. In alcuni casi è prevista la circumdeambulazione, cioè il girare attorno a un edificio o al luogo santo, mentre in altri si deve guadare un fiume o una sorgente, realizzando nello stesso tempo la purificazione e il passaggio da uno stato all’altro. Il pellegrino è tenuto a compiere un grande lavoro morale, spirituale e psicologico su di sé, cercando di vincere le proprie tendenze negative. Per questo il cammino del pellegrinaggio non può essere qualcosa di agevole: il pellegrino deve saper accettare le difficoltà del viaggio come componenti della propria purificazione e come segno del voler mutare la propria vita. Il pellegrino lascia la propria casa per raggiungere un luogo, vicino o lontano, che gli è estraneo: il pellegrino è infatti uno straniero. Questa estraneità è prima di tutto una dimensione interiore per far sì che si possa rivelare la vera realtà spirituale personale sopita dalle sovrastrutture.

WIP 3 - Mappa interattiva delle religioni

WIP 4 - Il tempo

I tempi sacri e il calendario

Presso molte religioni si crede che in origine la vicinanza tra l’uomo e la divinità potesse essere evidente nell’abbondanza dei raccolti. Questo stato di cose subì un brusco arresto per colpa dell’azione di un dio o di un uomo. Questo è ad esempio il tema del mito di Proserpina, giovane donna rapita da Plutone e costretta a rimanere con lo sposo nel regno degli inferi, determinando l’autunno e l’inverno. Tuttavia Proserpina non rimase per sempre prigioniera nell’oscuro regno del marito. Sua madre Cerere si recò, secondo il racconto mitologico, presso il regno del genero per ottenere che la figlia almeno per un certo periodo dell’anno potesse tornare in superficie a godere dell’amore materno: così, durante i mesi in cui Proserpina torna da Cerere, la terra produce frutti abbondanti e messi copiose. Spesso la storia è letta come una specie di ritorno ciclico che segue periodi brevi (le stagioni) o più lunghi (le ere), dove tutto si conclude in un eterno ritorno. Proprio questa ciclicità è negata dall’ebraismo, che fa esperienza del passaggio delle stagioni e su questo modella il proprio vissuto religioso ma crede che la storia vada verso un fine.

Tempo sacro e fertilità della terra

Tutti i riti che vogliono ottenere la fertilità della terra sono legati alla stagionalità ed alla necessità che avvenga un rinnovamento all’interno della natura. Tale rigenerazione deve essere così potente da consentire la nascita di nuove vite e il sostentamento degli uomini. Sempre connessi alla rinascita vegetale sono il culto di Osiride (in Egitto) che, ucciso dal fratello Set, è in grado di rivivere e di unirsi alla dea della natura Iside, quello di Dumuzi-Tammuz (per i Sumeri) o ancora quello di Adonis (in Siria, Palestina e Fenicia). Tuttavia è bene sottolineare che queste non sono divinità risorgenti (come invece è Gesù Cristo), ma morenti e ritornanti. Infatti la loro specificità consiste nel ritornare per rinnovare le forze rigeneratrici della natura e della società. Tutte queste divinità, compiuta la loro missione, tornano nel regno dei morti. Così questi riti agrari sono anche riti del culto dei defunti.

Israele e Cristianesimo

La storia è il campo all’interno del quale Dio si manifesta ed agisce in favore del popolo. Coloro che si dedicavano in Israele alla registrazione della storia negli annali di corte non agivano soltanto spinti dal desiderio di celebrare i re e le loro dinastie o di rendere perpetue le loro imprese, ma avevano l’intenzione di interpretare le vicende inquadrandole in modo prospettico con quanto era avvenuto nel passato e ciò che sarebbe potuto accadere nel futuro. L’Antico Testamento racconta di un popolo che segue il suo Dio attraverso luoghi geografici disparati per un tempo prolungato, diventando sempre più consapevole della propria posizione di popolo eletto. Il concetto di storia finalizzata verso un punto-omega (finale) compare col cristianesimo. Qualora si debbano prendere in considerazione alcune circolarità, date per esempio dalle stagioni, queste non daranno luogo a cerchi, ma ad una spirale che porta verso l’alto, ovvero verso Cristo.

WIP 4 - Diversità di ruoli e ministeri

Gli specialisti del sacro

Tutte le religioni prevedono una figura, detta dagli studiosi «specialista del sacro», incaricata di gestire i rapporti con la divinità. Si tratta di individui particolari che hanno imparato le tecniche appropriate per gestire il sacro. Non tutte queste figure devono essere considerati sacerdoti, ma la figura del sacerdote è presente presso molte religioni. Il sacerdote, che può essere nato all’interno di una casta o di un gruppo particolare (come ad esempio per gli Ebrei, prima della distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., o per i sacerdoti indu) o provenire dal popolo (come per i sacerdoti cattolici), celebra una qualche forma di consacrazione all’interno di un rito di passaggio. In ogni caso il sacerdote è una persona speciale, un prescelto per le sue doti, per la sua autorità e per il suo valore. Il sacerdote presso le varie religioni ha il duplice compito di onorare la divinità, pregando e sacrificando secondo la ritualità prevista dalla religione, e di servire la comunità celebrando il culto, parlando alla divinità del popolo, dell’offerente o di una situazione particolare, e interpretando al popolo la volontà della divinità. Lo sciamano è una persona che ha una spiccata vocazione e una particolare psicologia che lo rende capace di collegarlo col mondo degli spiriti attraverso il viaggio spirituale. In questo modo lo sciamano riesce a collegarsi con l’Essere Supremo per ottenere ad esempio la guarigione da una malattia. Caratteristiche simili a quelle dello sciamano si riscontrano nel medicin-man (Nord- America) e del nganga africano, ben diverso dallo stregone. Mentre il nganga opera per raggiungere il bene, lo stregone non disdegna di farsi pagare per pratiche antisociali e proibite. I brahmani sono un esempio di classe sacerdotale castale: brahmani si nasce. Essi possono compiere sacrifici, riti, essere addetti alle conoscenze, ma dedicarsi anche alle pratiche incantatorie. I magi iranici possiedono caratteristiche particolari che a volte li fanno apparire come un gruppo a se stante. Essi sono addetti al culto del fuoco e all’offerta dello haoma, una bevanda rituale la cui composizione risale, secondo gli studiosi, alla preistoria iranica. Alcune religioni connettono direttamente il gruppo sacerdotale al volere del fondatore. È il caso del cristianesimo, secondo cui è stato proprio Gesù a scegliere gli apostoli, ai quali ha lasciato il compito di guidare la Chiesa. Gli apostoli hanno poi eletto altri uomini come successori nella loro autorità spirituale: questi hanno scelto nuovi “eredi” e così è stato, generazione dopo generazione, sino ai giorni nostri. È quella che si chiama «successione apostolica».

Gesù sacerdote

Sin dalla più antica tradizione la Chiesa ha riconosciuto Gesù come il vero, unico ed eterno sommo sacerdote, il solo uomo degno di essere destinato al culto divino perché assolutamente puro. Inoltre Gesù, essendo vero Dio e vero uomo, è il perfetto punto di contatto tra l’umanità e la divinità. Gesù, dunque, è l’unico mediatore, l’unico capace di mettere in comunicazione e in rapporto efficace gli uomini con Dio. Il sacerdozio di Gesù non dipende da una scelta degli uomini, ma è un’elezione divina (Ebrei 8,1-6; 10,11-14).
I libri del Nuovo Testamento evitano di chiamare «sacerdoti» i ministri del culto cristiano, preferendo a questo termine la parola «presbitero», vale a dire “anziano”. In questo modo la Chiesa ha voluto con efficacia, sin dall’inizio e per tutta la sua storia, sottolineare il fatto che soltanto Gesù è il vero sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek: è lui l’unico che può veramente stare davanti al Padre per presentargli il sacrifico di sé e per ricevere dal Padre l’aiuto efficace per gli uomini, vale a dire la grazia.
Il sacerdozio esercitato dai ministri cattolici ha senso unicamente in quanto si fonda sul sacerdozio di Cristo. Tuttavia ogni credente è unito profondamente a Cristo nel Battesimo. La Chiesa riconosce dunque la presenza di due tipi di sacerdozio:
• il sacerdozio universale, che deve essere esercitato da tutti i credenti in forza del loro battesimo. Tutti i cristiani appartengono ad un popolo sacerdotale e sono chiamati a svolgere nel mondo una missione di tipo sacerdotale;
• il sacerdozio ministeriale, che è vissuto da chi ha il compito di essere capo delle comunità cristiane, di predicare il Vangelo, di amministrare i sacramenti e di sorvegliare il corretto svolgimento della vita nella Chiesa. Tra essi ci sono i vescovi, i presbiteri e i diaconi.

 

La scelta dei Dodici

Affinché il suo Vangelo fosse conosciuto da tutti gli uomini e si mantenesse integro nel tempo, Gesù scelse per il suo popolo i Dodici, gli Apostoli. Ad essi dopo la risurrezione affidò il compito di continuare la sua missione di rivelazione e di salvezza. Tra essi Gesù scelse Pietro (in aramaico Kefa che significa “roccia”) perché, come dice il suo nome, fosse la pietra di fondamento della Chiesa e perché fosse il garante dell’unità degli Apostoli. Come le dodici tribù di Israele pensavano di aver avuto origine dai dodici figli di Giacobbe, che erano ritenuti capi e capostipiti di ogni tribù, i Dodici Apostoli furono scelti da Gesù per essere i capi del popolo eletto, la Chiesa. Inoltre essi avevano il compito di santificare il popolo e di guidarlo nella via da seguire verso Cristo. La scelta dei Dodici fu confermata solennemente nel giorno di Pentecoste (Atti 2,1-11) con la discesa dello Spirito Santo. Gli Apostoli in quel momento si trovavano riuniti in preghiera nel Cenacolo: era con loro anche Maria, la Madre di Gesù. È quello il momento ufficiale dell’inizio della vita della Chiesa nel mondo. Gesù dunque affidò agli uomini il compito di trasmettere la fede. Tale incarico poteva essere messo in pericolo dalla fragilità dell’essere umano soggetto alla malattia ed anche alla morte. Tuttavia il messaggio della rivelazione di Gesù non venne meno perché la scomparsa degli Apostoli non mise fine alla loro missione. Gli Apostoli, prendendo ad esempio l’agire di Gesù, scelsero a loro volta responsabili che si occupassero delle necessità del popolo cristiano, trasmettendo la loro autorità attraverso il gesto dell’imposizione delle mani e dell’unzione con olio consacrato. Queste persone furono i vescovi. A loro volta, di generazione in generazione i vescovi hanno scelto i loro successori affinché continuassero l’opera di Gesù per rendere più forte e più salda la comunità dei credenti: è la successione apostolica.

La gerarchia sacerdotale cattolica

I vescovi

L’autorità data da Gesù agli Apostoli fu confermata dallo Spirito Santo. Questa consacrazione sacramentale trasmette ancora oggi nel rito dell’imposizione delle mani la forza dello Spirito Santo al nuovo vescovo. Ogni vescovo (dal greco episcopos, “sorvegliante”) deve svolgere la missione a lui affidata in comunione con tutti gli altri vescovi e in accordo con il successore di Pietro, il vescovo di Roma, il Papa. La comunione dei vescovi si rende visibile quando più vescovi vengono convocati per consacrare un altro vescovo, oppure quando insieme si raccolgono in un Concilio per discutere i problemi della Chiesa, decidendo su gravi questioni che interessano la fede o la morale nell’interesse spirituale dei cristiani. Le decisioni assunte dal Concilio devono essere prese in accordo col vescovo di Roma e mai senza di lui. Il vescovo possiede la pienezza del sacerdozio: la prima grave responsabilità affidatagli è l’insegnamento del Vangelo. Egli è dunque maestro in questioni di fede e di morale. Particolarmente importante e degno di autorità è l’insegnamento del Papa. Compito particolarmente sensibile per la sua importanza è la santificazione del popolo di Dio. I vescovi infatti sono i primi responsabili all’interno di una diocesi dell’amministrazione dei sacramenti e in modo particolare dell’Eucaristia. Tuttavia, per svolgere questo compito si servono di collaboratori con responsabilità ed autorità diversa, vale a dire i presbiteri, quelli che normalmente vengono detti “preti”, e i diaconi. Altro compito del vescovo è il governo delle Chiese che sono state a loro affidate. Essi raggiungono questo obiettivo prima di tutto con la vita vissuta seguendo il Vangelo. L’incarnazione pratica della loro predicazione si trasforma in questo modo in esempio per i fedeli, che guardano all’autorità esercitata dal vescovo nella comprensione e nella persuasione, trovando in essa un modello a cui ispirarsi. In ultimo, il vescovo è chiamato ad esercitare il governo ricorrendo alla sua autorità. Il vescovo può essere considerato come un buon padre di famiglia, che governi con fermezza ma nell’amore i suoi figli, dando loro la possibilità di realizzarsi pienamente come figli di Dio, giungendo anche a donare la propria vita per la loro salvezza.

Il Vescovo di Roma

Gesù ha voluto che Simon Pietro fosse il primo responsabile dei Dodici. Con la morte di Pietro la sua funzione venne esercitata nella Chiesa dal suo successore, che come fece Pietro siede sulla cattedra di Roma. Mentre tutti i vescovi sono successori degli Apostoli, il Vescovo di Roma è successore di Pietro e dunque anche di tutta l’autorità che Gesù volle affidargli. Ciò spiega perché i Vescovi di Roma hanno un’importanza, un prestigio e un onore del tutto particolari. Questa responsabilità diventa direttamente evidente nel momento in cui sorgono discussioni in materia di fede e di morale all’interno del Collegio Apostolico (l’insieme di tutti i vescovi). In questo caso è il Romano Pontefice che è chiamato a decidere tra le diverse posizioni, determinando quale posizione la Chiesa sia chiamata a seguire come autentica. Quando tutti i vescovi del mondo in unione con il Romano Pontefice assumono decisioni, queste hanno valore per la Chiesa universale, vale a dire per tutti i credenti, chiamati ad aderire all’insegnamento dei loro pastori.

Presbiteri e diaconi

I presbiteri (parola che significa “anziani”) sono i più stretti collaboratori del vescovo. Essi hanno il compito di convocare i fedeli per la preghiera, celebrare l’Eucaristia in unione col vescovo, amministrare i sacramenti che non prevedono l’intervento del vescovo (Confermazione e Ordinazione Sacerdotale), predicare. I presbiteri sono spesso i responsabili delle parrocchie, parti in cui ogni diocesi suddivide il proprio territorio al fine di provvedere ai bisogni materiali e spirituali dei fedeli. I diaconi (dal greco, “servitori”) sono collaboratori del vescovo e delle comunità (Atti 6,1-6). Essi si occupano di molti servizi, che non richiedono espressamente la presenza di un vescovo o di un presbitero, come l’amministrazione dei beni della comunità e l’aiuto di chi si trova in grave necessità fisica o spirituale (Lumen Gentium 29).

WIP 4 - La preghiera

La preghiera di lode

La preghiera è generalmente composta di diversi momenti in cui il fedele si pone davanti alla divinità. Sebbene si tratti di un azzardo umano perché la divinità è immensamente più grande, tuttavia questo atto è necessario perché è uno dei mezzi che l’uomo ha a disposizione per poter richiedere a Dio ciò di cui necessita. Se la domanda a Dio è parte integrante della preghiera, generalmente l’uomo fa precedere alla richiesta un momento di lode, in cui in modo spesso poetico esprime l’ammirazione provata per la grandezza e la potenza della divinità. Egli è lodato come unico (monoteismo) o superiore a tutti gli altri (enoteismo e politeismo). Alcuni testi tuttavia sono unicamente di lode. Si tratta di composizioni realizzate da uomini che hanno passato molto tempo della loro vita nella ricerca mistica (unione con Dio).

La divinità che aiuta l’uomo

Sono rare le religioni che prevedono una divinità del tutto inaccessibile; la maggior parte offre la possibilità ai fedeli di relazionarsi con un dio che interviene attivamente nella loro vita. La preghiera umana diventa sensata proprio grazie al riconoscimento della considerazione divina. L’uomo loda Dio perché verifica nella sua vita la presenza di tutti i benefici di cui è stato oggetto. Perciò l’uomo, dopo aver ammesso l’interessamento della divinità, ringrazia per ciò che ha ottenuto e per l’amore che la divinità ha mostrato verso di lui. La preghiera di domanda, anche se considerata spesso un’espressione troppo materiale, in realtà denota una profonda fede del credente, che adora e riconosce come senza l’intervento della divinità tanto amata nulla potrebbe avere di ciò che ha.

La preghiera nella Chiesa

La Chiesa scandisce la giornata dall’alba al tramonto con una preghiera cadenzata. In questo modo ogni ora del giorno e della notte è dedicata a Dio: vengono letti salmi e brani particolarmente indicati all’ora che si sta vivendo per stimolare la meditazione del fedele. Ogni giorno la Chiesa celebra l’eucaristia, anche se i cattolici sono invitati a parteciparvi soprattutto la domenica, giorno di precetto, Pasqua della settimana.