L'Induismo

Gli indu, quando si riferiscono alla propria religione, l’INDUISMO, usano il termine Sanatanadharma («Verità, Legge eterna») volendo ricordare la necessità del rispetto del Dharma, l’insieme di regole che hanno il compito di reggere il mondo.

Il vedismo

Circa duemila anni prima di Cristo, tribù indo-ariane conquistarono la Valle dell’Indo. Dall’incontro con le popolazioni locali, nacque una nuova raffinata civiltà: la sua lingua era il sanscrito, la sua religione il vedismo.


I testi sacri


In senso stretto il VEDA è una rivelazione del divino che è stata ascoltata, udita (sruti) e conosciuta attraverso l’intuizione di alcuni saggi profeti e poeti. Tra il 1500 e il 1000 a.C. queste rivelazioni, legate strettamente a pratiche rituali, furono radunate in raccolte (samhita) da alcune famiglie sacerdotali (brahmani):
Rig-Veda: si tratta di un sapere trasmesso sotto forma di canti e inni che raccoglie materiale molto antico;
Sama-Veda: melodie;
Yajur-Veda: contiene il sapere necessario per compiere i sacrifici, i riti e le complesse liturgie;
Atharva-Veda: contiene il sapere magico.
I Veda sono libri scritti per lo più in versi, trasmessi oralmente senza alterazioni nel passaggio da una generazione all’altra. Oggi i bambini indu non comprendono più il sanscrito, una lingua usata solo in ambito rituale, ma imparano a memoria il testo, che è per loro poco più che un susseguirsi di sillabe.

Le divinità


I Veda contengono il nome di 33 divinità (che all’interno di un inno diventano 3333). Ecco le principali:
Varuna è la divinità che regna sugli dèi, la natura e gli uomini. È il guardiano del rito, colui che siede sul cielo e la terra durante il sacrificio e che commina la punizione agli uomini al termine della vita. Si tratta perciò di un dio che minaccia l’umanità, la quale prova verso di lui terrore.
Mitra è il volto benevolo di Varuna, una divinità legata alla pace e non alla guerra. Espressione dell’alleanza tra il divino e l’umano, è amico di tutti gli uomini ed è invocato quando si devono stilare trattati di pace.
Indra è il più forte tra gli dèi perché Varuna e Mitra gli hanno ceduto parte del loro potere.

Il brahmanesimo

Il brahmanesimo deve essere considerato come un’epoca di passaggio, verso altre tradizioni religiose. Compare nel VI secolo a.C. ed è conosciuto fino agli albori dell’era cristiana. In seguito compare l’induismo.


Brahman e Atman


Per comprendere questo sistema religioso occorre conoscere i concetti che si celano dietro al Brahman e all’Atman. Il Brahman è la forza magica che si esprime nel sacrificio, il Principio che dona l’esistenza a tutto il reale, e perciò l’Essere, ciò che veramente esiste quando sono eliminate tutte le apparenze. L’ATMAN è l’anima di ogni individuo, il principio spirituale a cui non si può aver accesso e che dunque è eterno. L’Atman si trova in ciascun essere e ha il compito di portare tutti alla fonte della vita e della conoscenza.

Le divinità e le caste


Il brahmanesimo riprende le divinità vediche e ne assimila alcune appartenenti a epoche più antiche. Al centro pone 33 divinità a cui unisce 8 protettori dello spazio. Acquistano importanza Brahma, Shiva, Vishnu, che saranno in seguito al centro dell’induismo.
«Casta» è parola di origine portoghese che significa «razza» e traduce il sanscrito jati che vuol dire «nascita». Nella società indiana ha la funzione di indicare i molti gruppi ai quali le persone appartengono per nascita, con comuni caratteristiche etniche, lavorative e religiose. Questi gruppi sono essenzialmente chiusi: normalmente viene escluso il matrimonio intercastale, anche se questa proibizione non è sempre osservata.
In Occidente si usa la parola «casta» per riferirsi al sanscrito «varna» (=colore), termine che indica le quattro categorie sociali in cui sono suddivisi gli indo-ari. Tuttavia, queste varna solo in alcuni casi coincidono con le caste.

Per gli indu l’organizzazione dell’universo, e quindi anche della società, è regolata dalla legge del Dharma, ovvero la disposizione naturale degli elementi cosmici, ma anche morali. Per mantenere in equilibrio l’universo tale legge deve essere rispettata. Essa vincola ogni individuo e lo inserisce in una rete di relazioni da cui scaturiscono obbligazioni sociali e una gerarchia assolutamente rigida.
Ogni individuo appartiene a una delle seguenti caste:
• i brahmani, quasi sempre sacerdoti: il cui colore è il bianco,
• i principi guerrieri (kshatriya): il cui colore è il rosso,
• gli artigiani e i commercianti (veicyas): il cui colore è il giallo,
• i servi (shudra): il cui colore è il nero.
Si tratta di quattro categorie sociali. La posizione sociale è tanto più alta quanto più è ritenuto puro il lavoro svolto. Alcune persone non possono essere inserite in alcuna casta: sono i paria, ritenuti impuri, intoccabili, i quali si guadagnano da vivere facendo lavori considerati ripugnanti.

L’induismo

È solo con il I secolo che compare un induismo più popolare, che si esprime in alcune pratiche di devozione e di scelte di vita come quella dei «rinuncianti», un gruppo di asceti erranti che scelgono di vivere nella più completa solitudine al fine di raggiungere la liberazione.
La base teorica per lo sviluppo di tale disciplina venne fornita dalla predicazione del Buddha e dalle forti critiche dei filosofi al sistema religioso.


La pratica popolare


Con l’induismo la possibilità di avere una relazione intima e personale con la divinità si fa importante. Bahkti è un nome sanscrito che indica l’amore per una divinità, la confidenza e la benevolenza che può giungere anche all’abbandono fusionale. Questa pratica si diffuse velocemente perché accessibile, con i suoi riti semplici e poco dispendiosi, composti per lo più da offerte di foglie, fiori, frutti o acqua, simbolo della purezza del cuore dell’offerente. All’interno di questa pratica non ha importanza l’appartenenza a una casta e anche le donne, che nelle altre forme religiose sono escluse, possono accedervi con facilità.


Le divinità maggiori


L’induismo conosce una vera e propria moltitudine di dèi. Il fedele si trova quasi in imbarazzo nello scegliere a quale divinità dedicare la propria devozione. Tuttavia gli dèi che vengono scelti con più frequenza sono Vishnu e Shiva.
Brahma è generalmente rappresentato con quattro teste rivolte in direzione dei punti cardinali per indicare la signoria di Dio, che si estende a tutto lo spazio.
Vishnu percorre con tre passi l’universo; è colui che si incarica di custodire gli elementi durante il periodo della distruzione. Krishna è considerato il suo avatar, cioè la sua manifestazione tra gli uomini, un dio raffigurato come guerriero, bambino o pastore. Generalmente Vishnu è rappresentato placidamente addormentato sul Serpente dell’infinito, intento a sognare il mondo appena distrutto. E, mentre dorme, nella sua memoria il mondo deflagrato può continuare ad esistere e può essere nuovamente ricreato da Brahma quando riterrà sia giunto il momento opportuno.
Shiva è una divinità benevola e temibile allo stesso tempo. È lui che si occupa di distruggere l’universo, tappa necessaria perché il mondo torni ad essere ricreato. Questo è il senso della danza cosmica che compie con divina armonia. Shiva si mostra compassionevole con i suoi devoti, che aiuta a liberarsi dal ciclo delle rinascite.

Ognuna di queste divinità ha funzioni diverse ma vi sono correnti che le considerano come la manifestazione di una divinità suprema. Nella maggior parte dei casi Brahma, Shiva e Vishnu sono adorati singolarmente da sette specifiche, rette da un guru (maestro) spesso considerato l’incarnazione della divinità.

La liberazione definitiva


I sistemi religiosi di cui ci siamo occupati in questo WIP prevedono che l’uomo possa godere di infinite possibilità per realizzare pienamente se stesso e per purificarsi completamente. Al momento della morte l’anima del defunto trasmigra in un altro corpo. La situazione concreta in cui tutto ciò avverrà dipende dal karma che si è accumulato durante l’ultima vita e che può essere positivo o negativo. Perciò è possibile salire o scendere nella gerarchia delle caste, ma anche diventare un animale. Questo concetto in Oriente è considerato una condanna, una prigione all’interno della quale viene trattenuta l’anima di chi non ha la forza per dedicarsi all’ascesi spirituale.