Taoismo, Confucianesimo e Shintoismo

Passeggiando nella natura, camminando in una strada affollata di città, frequentando un ufficio pubblico, sentendo un notiziario alla televisione, vivendo a contatto con le persone che amiamo, sentiamo la necessità di essere in relazione corretta con l’ambiente che ci circonda e le persone con cui viviamo. Questo perché gran parte della nostra vita di uomini e di donne è data dalla relazione. Ed è la qualità delle nostre relazioni che determina in gran parte la qualità della nostra vita. Taoismo, confucianesimo e shintoismo sono sistemi religiosi che cercano di rispondere a queste esigenze imprescindibili dell’uomo.

Taoismo

Laozi, il filosofo fondatore del taoismo, visse nel VI secolo a.C. Era archivista alla corte degli Zhou e, quando divenne molto anziano, si ritirò sulle montagne dell’Ovest. Qui il guardiano del palazzo di Xian lo supplicò affinché condividesse con lui le sue conoscenze. In queste circostanze Laozi dettò il Libro della via e della virtù (Tao-tê-Ching). In quest’opera, Laozi parla del Dao o Tao, la via presente in tutto l’universo, qualcosa di eterno che, pur essendo in ogni cosa, è principio di cambiamento di tutto ciò che esiste.
Non è possibile definire che cosa sia il Dao poiché questo principio si manifesta in una molteplicità di forme sempre diverse: «Il Dao di cui si può parlare non è il Dao eterno».

Il tempo è considerato nella sua ciclicità regolata dal Dao, che agisce a partire da una realtà caotica e informe che è necessario condurre a maturità. All’interno del caos primordiale il Dao regalò le energie presenti in modo tale da separare quelle chiare e leggere, che salirono verso l’alto e diedero origine al cielo, da quelle scure e pesanti, che fornirono la base per dare origine alla terra. A partire da questa prima opposizione, cielo e terra, prendono vita anche le altre: caos e creazione, vita e morte, chiaro e scuro, yin e yang. La dialettica tra queste opposizioni sotto l’influsso del Dao porta alla ciclicità della realtà. Per unirsi al Dao occorre legarsi a questa manifestazione della mutevolezza: chi riesce in un’impresa di questo tipo non deve temere nulla perché è diventato come il Dao, vale a dire «eterno».
Il Tao-tê-Ching è giunto sino a noi in una versione risalente al IV secolo a.C. Si tratta di un piccolo libro diviso in due parti, il Libro del Dao e il Libro di De, ed è un insieme di aforismi.

Confucianesimo

Confucio (Kong Fu Qiu: 551 a.C. - 479 a.C.) visse in un periodo piuttosto buio per la storia della Cina. La dinastia reale Zhou si era molto indebolita e il Paese era precipitato in un pericoloso periodo feudale. Intento di Confucio era ripristinare gli antichi valori della società cinese che si erano del tutto deteriorati. Per raggiungere il suo scopo, raccolse le antiche virtù, ne sottolineò e ne amplificò gli aspetti ritualistici, cercando di ancorarle alle tradizioni più antiche. Fino all’età di cinquant’anni non si comportò in modo diverso dagli altri, ma quando divenne ministro della giustizia dello Stato feudale di Lu, per la prima volta ebbe modo di praticare le sue teorie.
Costretto poi ad abbandonare la carica, decise di vagare per la Cina ponendosi alla ricerca di un principe che accettasse la sua etica. Fatto ritorno al suo Paese natale, fondò una scuola per futuri consiglieri di governo. Benché Confucio non avesse alcuna intenzione di fondare una religione, molti secoli dopo, nel 58 d.C., la dinastia degli Han posteriori decretò che in tutte le scuole della Cina fossero costruiti templi dedicati a Confucio. Ben presto il Maestro tornò a essere considerato solo un pensatore. Tuttavia un certo culto continuò a essergli reso. Nel 1912 la Repubblica Cinese non abolì il culto reso a Kong-Fuzi e nel 1939 la Sacra congregazione de Propaganda Fide permise ai fedeli cattolici di partecipare al culto attribuito a Confucio nei templi di Kang-zi miao e Wen miao.


L’etica confuciana


Il confucianesimo si occupò poco dell’esistenza degli dèi o del problema religioso in sé, né impedì il culto che ogni cinese in casa propria rendeva alle tavolette degli antenati, perché comunque funzionale alla sua etica.
È comune ritenere che il confucianesimo, proprio come suggerisce la parola, sia stato creato dal filosofo Confucio, il quale tuttavia affermava: «Io trasmetto e non creo, amo e diffondo ciò che è antico». Dunque è più corretto affermare che Confucio fu il divulgatore di una mentalità preesistente, il rappresentante eminente di un atteggiamento, di una tradizione che aveva bisogno di essere codificata.
Tutto il suo insegnamento veniva espresso come incoraggiamento alla partecipazione alle leggi dell’universo realizzate in una ritualità molto accentuata. I riti erano compresi secondo la cultura e la relativa posizione sociale di ognuno:
• i saggi riuscivano a comprendere pienamente,
• gli uomini superiori trovavano soddisfazione nel praticarli,
• il popolo li viveva come atti magici.
Alla base dell’insegnamento di Confucio sta il li, ossia il retto comportamento, eredità degli antichi Ching, libri divinatori che tramandavano l’antica sapienza cinese. Egli rielaborò questi scritti e li usò per divulgare il proprio pensiero e i propri insegnamenti.
Secondo questi testi, le virtù che è necessario esercitare sono:
• la bontà verso il prossimo,
• la giustizia,
• il rispetto per gli uomini che comprende la lealtà, la sincerità, la sapienza, la pietà filiale.
Confucio era convinto che fosse possibile riformare la società attraverso il rinnovamento dei rapporti familiari e la trasformazione dell’agire dell’individuo.


La salvezza


Il confucianesimo non volle essere una via per la salvezza individuale, ma un mezzo per restaurare una società degradata. Per questo la dottrina confuciana non tiene conto dell’individuo. Il singolo è considerato come parte della società in cui opera, un anello in grado di mettere in atto una vera trasformazione con il proprio comportamento. Solo un individuo che non avrà nel cuore il raggiungimento di un vantaggio personale e che rispetterà una rigida gerarchia riuscirà a operare per il bene comune. Il confucianesimo può dunque essere considerato come un’etica strettamente funzionale agli obiettivi politici di uno Stato organizzato come una monarchia, dove il sovrano governa per volere del Cielo. Lo Stato, inoltre, riproduce in grande gli ideali già previsti per la famiglia: il re è assimilabile al padre ed entrambi hanno il compito di governare esercitando un potere indiscusso. «Il re sia re, il ministro sia ministro, il padre padre e il figlio figlio», dice Confucio.

Shintoismo

I giapponesi presentano i loro bimbi appena nati nel tempio shintoista dove si sono sposati, ma spesso i funerali vengono celebrati presso un tempio buddhista. Poiché essi non distinguono nettamente lo shintoismo dal buddhismo.
Lo shintoismo è considerato la religione del Giappone, ciò che esprime l’essenza e l’appartenenza a quel popolo. Lo shintoismo vuole essere la religione della vita vissuta in pienezza e in armonia con la natura, ma anche con gli ideali della purezza, della sincerità e del rispetto di tutte le tradizioni che stanno alla base della società giapponese.
Alla fine del XIX secolo i responsabili politici giapponesi vollero dotare i propri cittadini di uno strumento di coesione culturale e sociale attraverso la creazione di una religione che raccogliesse elementi tradizionali, santuari e templi, da cui erano stati tolti i segni della religione buddhista; un clero, da cui erano stati esclusi i monaci; un libro sacro, il Kojiki (riscoperto nel XVIII secolo).
I riti usati per siglare le unioni matrimoniali vennero modellati sul sacramento del matrimonio cristiano, mentre i funerali assunsero elementi dai riti funebri del buddhismo. Fino al 1945 lo shintoismo era imposto per legge a tutti i Giapponesi, qualunque fosse la religione da essi professata.


La natura e i kami


Nel mondo operano una moltitudine di esseri e di potenze, dette kami, a cui è accordata molta riverenza. Accanto ai kami del VI secolo vennero aggiunte le figure del Buddha e dei Bodhisattwa, ma la religione popolare non distinse mai nettamente fra loro. I kami possono dimorare negli alberi, nelle rocce, nei fiumi, nei laghi, nei tronchi, nelle caverne, ma anche nei crocicchi, presso i confini dei villaggi e delle città, nei campi di riso, nelle colline e nelle montagne. Alle divinità che abitano le zone più o meno selvagge, quelle poste fuori dai centri abitati, viene riconosciuto un potere maggiore.
Alla base dell’esperienza religiosa shintoista vi è il grande libro della natura. Il Giapponese nella quotidianità non rivolge la sua adorazione ai grandi kami primordiali perché sono per lui irraggiungibili, fuori dal mondo. Il suo culto è rivolto invece alla natura perché, osservando la bellezza della natura e la forza distruttiva che da essa si può sprigionare, nasce nell’uomo un sentimento di sottomissione. Il divino s’incarna ovunque vi siano elementi naturali: animali, foreste, fiumi, montagne. Tutte queste forze sono unite tra loro da un flusso armonico di energia. Stando a contatto con la natura, l’uomo desidera entrare in quel flusso al fine di raggiungere pace interiore e piena consapevolezza di sé. Questa è la ragione per cui i templi trovano la loro collocazione nelle foreste. Non è importante la divinità in sé (il vento, il sole, ...), ma il luogo in cui quel kami si manifesta. Così Amaterasu, la dea del sole, è particolarmente adorata nel santuario di Ise, ma non altrove. La casa giapponese delimita lo spazio sacro della famiglia separandolo da quello esterno ed è costruita attorno al dio del focolare, del cibo, dei bagni, delle nascite. In ogni casa c’è un altare ove viene reso culto a una divinità, ma vi si trova anche l’altare buddhista dove sono collocati i buddha e le immagini degli antenati della famiglia.