I cristiani nell’Impero

Conflitto di valori

Le prime comunità cristiane aumentarono rapidamente tra il I e il IV secolo d.C., nei territori dell’Impero. In circa due secoli e mezzo, il cristianesimo si diffuse così nell’impero romano, non senza grandi difficoltà e periodi di persecuzione. I Cristiani vennero perseguitati, sino a subire la pena di morte, sotto Nerone e sotto Domiziano, durante l’impero di Traiano e quello di Marco Aurelio, poi al tempo di Settimio Severo, e di nuovo sotto gli imperi di Decio e di Valeriano; ultima grande persecuzione fu quella scatenata da Diocleziano e Galerio fra il 302 e il 313.
In questo tempo si precisarono sempre meglio, da un lato, l’identità e i valori distintivi delle comunità cristiane e, dall’altra, le accuse del governo e della società imperiale, che si spinsero al tempo di Diocleziano sino a progettare una sorta di «soluzione finale» per i credenti in Cristo.

Principali accuse verso i cristiani

Il rifiuto di praticare atti formali del culto tradizionale di Roma era inteso come esplicita dichiarazione di ribellione e, come tale, passibile della morte. Si trattava semplicemente di bruciare incenso alle divinità protettrici di Roma, rendere omaggio religioso alla statua del «genio» imperiale, recitare formule di omaggio agli dèi: tali riti, dai tempi di Augusto in poi, identificavano l’esplicita dichiarazione di fedeltà all’Impero e ai suoi governanti. Non era richiesto né fervore religioso né profonda convinzione: bastava il gesto formale.
L’ostinato rifiuto dei cristiani faceva crescere nelle autorità imperiali la convinzione che essi nutrissero un odio profondo per Roma, per il suo impero, per lo stesso imperatore. I cristiani vennero così accusati di ateismo e incesto, superstizione e ingenua credulità, antropofagia e assassinio rituale, misantropia.

La grande persecuzione

Nonostante le persecuzioni, il cristianesimo si diffondeva costantemente. Sempre più spesso le qualità umane, l’onestà e il coraggio di molte grandi figure di credenti «parlavano» alla gente molto meglio di tante prediche. In molte occasioni, autorità e popolo rimasero colpiti dal coraggio dei credenti di fronte al supplizio che li attendeva, e la forza della fede che professavano. Come ebbe a dire Tertulliano: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi credenti».
Nel corso del III secolo, l’Impero attraversò una profonda crisi: economica e politica ma anche sociale e culturale. I grandi ideali della società imperiale non erano più condivisi: il modello di vita e i valori che proponevano i cristiani apparivano invece sempre più significativi, convincenti, capaci di attrarre persone di ogni ceto sociale.
Alla fine del III secolo, Diocleziano attuò una serie di importanti riforme, che ridefinirono gli aspetti fondamentali dell’economia, delle istituzioni, della struttura sociale dell’Impero.
I cristiani furono considerati una grave minaccia per l’unità sociale e religiosa dell’impero. Diocleziano e Galerio decisero così di procedere a una persecuzione sistematica delle comunità cristiane: si ordinarono la distruzione dei luoghi di culto e dei libri sacri, si destituirono cristiani che ricoprivano un qualsiasi incarico importante nelle città, si obbligarono tutti, sotto pena di morte, a sacrificare agli dèi di Roma. La persecuzione, capillare e violentissima, imperversò soprattutto in Oriente, per quasi dieci anni.

Una nuova era

Alla fine, dopo migliaia e migliaia di vittime – la cosiddetta «età dei martiri» – i governanti dell’Impero si convinsero che, pur essendo «diversi» ed eccentrici, i cristiani non costituivano un reale pericolo per l’Impero:
• Nel 311 Galerio emanò un Editto di tolleranza, dichiarando il cristianesimo religione lecita.

• Nel 313 il nuovo imperatore Costantino con il collega Licinio emanò un nuovo provvedimento che non solo confermò ai cristiani la libertà del culto, ma dispose anche la restituzione dei beni confiscati o depredati e dei luoghi di culto occupati o distrutti. Con questo atto legislativo ebbero termine definitivamente le persecuzioni contro i cristiani.

L’Editto di Milano (o Editto di Costantino) fu l’atto conclusivo di un lungo processo di confronto fra le comunità cristiane e il governo imperiale: o, meglio, tra personalità eminenti dei fedeli di Cristo e rappresentanti della cultura e del potere dell’Impero. Da circa due secoli questo dialogo si era sviluppato in diverse forme: con i cosiddetti Padri apostolici, pensatori cristiani vissuti tra la seconda metà del I secolo e il II secolo che, facendosi portavoce dell’originaria predicazione apostolica si impegnarono con scritti e insegnamenti a fare chiarezza circa l’identità, i valori e la cultura cristiana. Nello stesso II secolo alcuni scrittori furono definiti apologisti, in quanto difesero i cristiani dalle principali accuse loro mosse sia dagli intellettuali sia dai detentori del potere. Particolarmente importante fu, a partire dalla fine del II secolo, l’opera della Scuola di Alessandria, il Didaskaleion, un centro di cultura e di alti studi dove operavano grandi pensatori cristiani tra cui Origine. Loro merito fondamentale fu quello di aver mediato l’incontro fra la cultura greco-ellenistica e quella cristiana, operando una sintesi che sarebbe stata sempre più importante per poter, a poco a poco, innestare il cristianesimo nel mondo culturale, nella cultura dominante dell’impero. Essa fu infine «cristianizzata», così come il cristianesimo, per diversi aspetti, assunse le forme del pensiero greco-ellenistico per comunicare nel modo più efficace i contenuti della rivelazione di Cristo.