L’età della libertà di culto

I cristiani protagonisti della politica imperiale

Il fallimento del progetto di distruzione del cristianesimo, voluto da Diocleziano e Galerio, fu in gran parte dovuto all’aver verificato non solo la forza morale dei cristiani, ma anche al sussistere di una loro capillare diffusione. Tale presenza, in fin dei conti, avrebbe potuto tornare utile proprio al benessere e alla prosperità dell’Impero. Nel luglio del 313 venne sancito un accordo fra Costantino e Licinio per estendere in ogni luogo dell’Impero la fine delle violente persecuzioni contro i cristiani, la revoca di tutti i precedenti editti e la concessione della libertà di culto.
In parallelo si potè assistere a una vigorosa diffusione del cristianesimo in ogni strato e settore della società, tanto da far rapidamente diventare minoranza gli «altri», cioè i non-cristiani. Questi ultimi, a parte gli israeliti, furono rapidamente identificati con il nome negativo di pagani, cioè di abitanti dei pagi, i villaggi in campagna, perché verso la fine del IV secolo le città erano in maggioranza abitate da cristiani, mentre nelle campagne vivevano persone che continuavano a essere legate agli antichi culti del mondo greco-romano.
Costantino era cresciuto in un ambiente familiare non contrario alla nuova fede: la madre Elena anzi era cristiana, mentre il padre Costanzo Cloro, Cesare d’Occidente, non aveva mai proceduto con decisione nell’applicazione dei decreti imperiali contro i credenti. Secondo la tradizione, nel 311 Costantino, in occasione di una decisiva battaglia contro il rivale Massenzio, aveva imposto alle sue truppe di contrassegnare scudi e insegne con il monogramma della parola «Cristo». Durante la sua vita, passò dalla venerazione dei culti imperiali voluti dalla Tetrarchia di Diocleziano (in particolare quelli di Giove e di Ercole), alla venerazione della suprema divinità solare (Helios), per arrivare a chiedere in punto di morte, nel 337, di ricevere il battesimo. Vescovi e personalità eminenti delle Chiese ricevettero onori, privilegi, talvolta incarichi di fiducia nell’amministrazione imperiale. Nel 325 l’imperatore stesso convocò tutti i vescovi a Nicea, perché discutessero di importanti questioni della fede. Fu quello il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa, presieduto dallo stesso Costantino: un concilio di straordinaria importanza, per la definizione della formula del primo Credo della Chiesa, e per la condanna dell'eresia ariana, dal presbitero Ario di Alessandria.

Il primato di Roma, il prestigio di Alessandria

Nella seconda metà del IV secolo il cristianesimo si affermò con sempre maggior importanza, sia nelle regioni orientali dell’impero sia in quelle occidentali. In queste ultime è fondamentale l’opera e la personalità di Ambrogio, vescovo di Milano dal 374 al 397, anno della sua morte.
All’età di circa quarant’anni, Ambrogio, apprezzato governatore imperiale del Nord Italia, era stato acclamato vescovo dal popolo milanese. Si distinse in modo particolare nella lotta per difendere la fede sia da un ritorno del paganesimo, sia da distorsioni della dottrina apostolica a opera di eretici. Ma la sua figura è anche molto importante perché, per la prima volta, vennero messe a fuoco caratteristiche dell’autorità spirituale – nello specifico dell’autorità dell’episcopo – nei confronti del potere civile – in particolare di quello degli imperatori. In più di un’occasione, Ambrogio agì con grande determinazione per mettere in evidenza come l’imperatore – come ogni altro detentore del potere civile – se credente era dentro la Chiesa, non al di fuori o addirittura al di sopra di essa. Questo principio sarebbe risultato fondamentale per tutti i successivi secoli dell’età medievale, e sarebbe poi sarebbe poi stato messo in crisi – ma mai veramente superato – a partire dall’età moderna.
Nello stesso periodo di tempo, fu sempre più condiviso il prestigio che nel mondo cristiano venne riconosciuto alla sede episcopale di Roma: come ha insegnato lo stesso Ambrogio dove c’è Pietro, lì è la Chiesa, a indicare come al vescovo di Roma – successore dell’apostolo Pietro, capo dei Dodici – debba essere riconosciuto un indiscutibile primato di onore e di autorità fra tutti i vescovi del mondo cristiano.
Sempre nel VI secolo si affermò in Oriente l’importanza della sede episcopale di Alessandria d’Egitto. Grandissimo centro economico, politico e culturale del mondo antico, già sede di una delle più importanti comunità israelitiche, la città era stata sin dal II secolo d.C., con il suo Didaskaleion, una delle più importanti scuole di teologia del mondo cristiano.
Con l’Editto di Tessalonica dell’imperatore Teodosio si compì, nel 380, il percorso di definitiva affermazione del cristianesimo all’interno dell’impero romano. Il cristianesimo, nella confessione cattolica romana, fu riconosciuto come sola religione legittima e lecita dell’Impero mentre le altre confessioni e i culti greco-romani furono cancellati. L’autorità dell’Impero divenne inoltre forza di difesa della fede.

Il monachesimo

Per secoli, diventare cristiani poteva significare mettere in pericolo la vita, o anche solo perdere beni, incarichi, prestigio sociale. Da Costantino in poi le cose cambiarono: diventare cristiani poteva comportare anche vantaggi nella società, nel- la politica, nella carriera, poteva in altre parole fare comodo. I vescovi posero la massima attenzione nel valutare le richieste di nuovi credenti a ricevere il battesimo: ma inevitabilmente, in alcuni casi, la qualità della vita di fede ne risultò compromessa. Maturò anche per questa ragione l’esigenza di alcuni uomini, convinti della propria fede e della propria vocazione alla vita religiosa e solitaria, di scegliere un diverso modo di professare la scelta cristiana. Essi intesero privilegiare la vita in solitudine, lontani da tutti, meglio se in luoghi desertici – i deserti di Giuda e del Neghev in Israele, oppure la regione di Tebe in Egitto – dove poter pregare, vivendo del lavoro delle proprie mani e accontentandosi dell’indispensabile, in grotte o in semplici capanne, leggendo le sacre Scritture e contemplando i misteri della Rivelazione.
Iniziò così l’esperienza dei monaci, destinata a diventare nella Chiesa, in Oriente e poi anche in Occidente, un modo parallelo e in qualche modo alternativo alla cristianità delle città e dei luoghi del potere, di vivere la fede e di impegnarsi a testimonia- re in tutta la loro radicalità gli insegnamenti del Vangelo.

Eremitaggi, laure, cenobi da Oriente a Occidente

Le prime esperienze furono quelle degli eremiti (coloro che vivono in un luogo solitario): a poco a poco, la fama della loro vita esemplare e semplice, evangelicamente convincente, si sparse nei dintorni dei luoghi dove si erano ritirati a vivere i primi eremiti. Nei pressi del primo pioniere, Antonio, si ritrovarono altri eremiti come Pacomio e Saba, e costituirono le cosiddette «laure». In alcuni luoghi, per rendere più efficace l’esperienza della solitudine, scelsero di ritrovarsi almeno una volta alla settimana, la domenica, per celebrare l’Eucaristia, e vivere insieme le feste più importanti dell’anno religioso cristiano – i riti della Settimana Santa, la Pasqua, la Pentecoste, il Natale. Questa esperienza ebbe particolare fioritura in Egitto nel V se- colo, e fu «esportata» anche in Occidente. Qui, nel VI secolo, fu perfezionata dalla straordinaria personalità di Benedetto da Norcia, che fu padre di tutto il monachesimo d’Occidente.