L’età dei grandi concili

Le istituzioni della Chiesa

Quando il cristianesimo ottenne la libertà di culto, grazie alle donazioni dell’imperatore o di alti funzionari convertiti alla nuova fede si trovarono i fondi per innalzare nuove splendide CHIESE. Il modello architettonico fu derivato da quello di importanti luoghi pubblici dell’amministrazione romana: le basiliche. Si trattava di ampi edifici, di solito colonnati, a tre o anche a cinque navate, destinati alle contrattazioni commerciali e alla amministrazione della giustizia, di solito esercitata in una esedra, l’abside. Le prime grandi basiliche cristiane furono fatte costruire a Roma e in Terra Santa per volontà di Costantino, ma sorsero presto sia nella nuova capitale, Costantinopoli, sia nelle principali città cristiane dell’Impero.
Il culto era amministrato dal solo clero, in particolare dal VESCOVO, coadiuvato dai PRESBITERI, mentre a mansioni di servizio, amministrative e assistenziali, provvedevano i DIACONI. L’atto di culto fondamentale della liturgia (servizio sacro) era l’Eucaristia (ringraziamento), preceduta da preghiere solenni, dalla lettura delle Sacre Scritture, e dal loro commento, l’omelia omelia pronunciata dal sacerdote. All’Eucaristia non partecipavano i peccatori pubblicamente riconosciuti – e non ancora purificati da opportuna penitenza – né i catecumeni, cioè chi si stava istruendo nella fede cristiana, ma che ancora non aveva ricevuto l’Iniziazione cristiana. Questo era il rito solenne con il quale si abbandonava ogni precedente esperienza religiosa, per aderire alla fede in Cristo Risorto.
Le comunità cristiane si contraddistinguevano in modo particolare per la carità fraterna. Grazie alla continua raccolta di beni a beneficio dei bisognosi, ai lasciti testamentari, alle donazioni volontarie, e poi alle ricche elargizioni imperiali, le Chiese vennero a disporre di ingenti ricchezze, amministrate localmente dai diaconi: essi provvedevano alle necessità dei poveri, delle vedove e degli orfani, dei malati, dei prigionieri, e per quanto possibile al riscatto degli schiavi. Le comunità, secondo le loro possibilità, costruirono poi i primi ospedali (nosocomia), i primi ospizi per i viandanti e i pellegrini (xenodochia), mentre sempre più spesso i vescovi in tempo di carestia, di siccità, di guerra, provvedevano ad acquistare, raccogliere e distribuire grano, pane e quant’altro necessario a tutti i bisognosi.

Eresie e Concili

I primi due secoli e mezzo della storia della Chiesa furono segnati dal diffondersi di tre ERESIE: la gnosi (conoscenza), che proponeva l’accesso a una più alta e perfetta conoscenza dei misteri della rivelazione attraverso un percorso di approfondimento razionale, riservato però solo a pochi privilegiati; il manicheismo, o dottrina di Mani, diffusosi dalla Persia, che rileggeva la dottrina cristiana concentrandosi su due principi eterni e fondamentali, il Bene e il Male (identificato con la materia) in perenne lotta; e poi il montanismo, o dottrina di Montano, che riteneva imminente il ritorno del Cristo e l’Apocalisse e imponeva un rigidissimo stile di vita. Ma più pericolose e diffuse furono le eresie del IV e V secolo, in coincidenza della fine delle persecuzioni: riguardarono in particolare la Trinità dell’Unico Dio Padre, Figlio e Spirito Santo – eresia trinitaria – la natura del Cristo – eresia cristologica – e il problema del peccato e della salvezza – eresia soteriologica. La prima eresia è connessa alla predicazione del prete Ario di Alessandria, e insegnava in sintesi che solo il Padre è Dio, mentre il Figlio è stato creato.
La seconda eresia si compone di diverse dottrine, ciascuna delle quali però negava l’insegnamento tradizionale, e cioè quello che presenta Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, due nature (divina e umana) in una sola Persona, il Figlio: contro l’insegnamento tradizionale si pose prima Nestorio, che sosteneva nel Cristo la presenza di due nature e due persone (nestorianesimo); poi fu la volta di Eutiche e dei suoi seguaci che con il monofisismo (una sola natura) affermavano che nel Cristo la natura umana è del tutto confusa in quella divina, che di fatto è l’unica esistente.
Il pelagianesimo fece riferimento alla predicazione di un monaco britannico, Pelagio, che confidando nella assoluta capacità di ogni uomo di scegliere per il bene, secondo il libero arbitrio, arrivò a negare il peccato originale e l’azione salvatrice del Cristo. Contro il diffondersi di questi insegnamenti le comunità cristiane reagirono con i concili, nei quali si discusse delle varie dot- trine e insegnamenti e si giunse alla proposta organica di un insegnamento comune, condiviso, tradizionale, risalente alla tradizione apostolica. I concili furono di fondamentale importanza per lo sviluppo della teologia cristiana, e del suo costante confronto sia con la cultura greco-ellenistica. I concili che riuniscono in assemblea tutti i vescovi del mondo cristiano prendono il nome di ecumenici, dal termine greco oicumene, che identifica «il mondo intero». I primi quattro concili ecumenici furono particolarmente importanti per il valore e la portata delle decisioni assunte. Si celebrarono a Nicea (325), a Costantinopoli (381), a Efeso (431), a Calcedonia (451).

Il ruolo della Chiesa

Mentre nella Chiesa si intrecciavano le discussioni sulle eresie trinitarie, cristologiche e soteriologiche, l’Impero, soprattutto nelle regioni occidentali, attraversava un lungo periodo di crisi. Ai problemi dell’economia e della società romana, si aggiunge- va, sempre più grande e frequente, la minaccia delle invasioni di popoli di stirpe germanica, o indoeuropea, che da Oriente penetravano entro i territori occidentali dell’Impero. Nel 410 i Visigoti di Alarico saccheggiarono Roma, conquistando un immenso bottino, dopo pochi anni giunsero gli Unni guidati da Attila, che papa Leone I fermò alle porte di Roma convincendolo a ritirarsi. La devastazione si ripeté circa quarant’anni dopo con i Vandali di Genserico.
In questi decenni difficilissimi, il ruolo della Chiesa, e dei vescovi in particolare, risulta decisivo per la salvezza delle popolazioni, per l’aiuto morale e concreto, per la capacità di essere positivo punto di riferimento umano, culturale, civile e religioso. L’Occidente guardava sempre di più al vescovo di Roma come all’unica autorità, religiosa e civile insieme, capace di interventi positivi e significativi.

Il monachesimo in Occidente

L’esperienza della vita monastica, secondo il modello orientale diffusosi in Egitto e in Siria, sbarcò in Occidente sin dalla fine del IV secolo, senza tuttavia raggiungere dimensioni significative. L’esigenza di una esperienza religiosa forte e profonda fu tutta- via espressa da alcune personalità di grande valore: Martino, un ufficiale romano divenuto vescovo di Tour (in Francia), che fondò sulla Loira il monastero di Marmoutier, destinato a diventare uno dei più importanti di quelle terre; Vincenzo, fondatore del monastero di Lerins; Patrizio, apostolo dell’Irlanda e fondatore di una importante rete di monasteri, da cui partiranno missionari per evangelizzare i territori europei; Cassiodoro, già ministro di Teodorico, fondatore del monastero di Vivarium, presso Squillace in Calabria, una sorta di centro di alti studi di filosofia e di teologia, luogo di rifugio per nobili e studiosi, dove si copiavano in nuovi manoscritti le opere importanti dell’antichità classica.
Ma davvero straordinaria fu l’esperienza di vita religiosa realizzata da Benedetto da Norcia, che a ragione deve essere considerato il vero fondatore e padre di tutto il monachesimo in Occidente. Nato verso il 480, molto giovane si rifugiò nella valle dell’Aniene, non lontano da Roma, nei pressi di Subiaco. Qui si costruì un piccolo eremo: ben presto la fama della sua santità attirò presso di lui molti giovani desiderosi di condividere la sua stessa esperienza. Benedetto costituì prima delle piccole comunità: poi si trasferì molto più lontano, in Campania, su un alto monte sopra Cassino.
A Cassino Benedetto fondò la prima di una numerosissima serie di comunità monastiche: un gruppo di uomini decisi a consacrare la propria vita alla preghiera e alla contemplazione, vivendo del lavoro delle proprie mani, studiando i testi sacri, conservandoli e ricopiandoli. La comunità benedettina raccoglieva il povero e il ricco, il nobile e il popolano, il romano e il barbaro: il monastero si strutturava come una sorta di piccola città, una vera cittadella religiosa, il più possibile autosufficiente e autonoma.

Benedetto stabilì per sé e per i suoi compagni una Regola, un semplice codice in 73 capitoli dove raccolse gli impegni del monaco verso Dio e verso la comunità. La vita del monaco è, secondo Benedetto, riassunta dalla formula prega e lavora, e dai quattro impegni (voti) fondamentali: obbedienza al padre abate, capo della comunità, castità, povertà e stabilità, perché il monastero diventava la casa del monaco per tutta la vita. Fin da subito la Regola di Benedetto fu apprezzata, e moltissimi vollero entrare a far parte del numero dei suoi seguaci: in breve sorsero in Italia e in Europa decine di fondazioni monastiche, che attirarono anche cospicue donazioni di beni, di terre, di servi. Con Benedetto si introduce nella storia della Chiesa in Occidente un nuovo tipo di clero, quello «regolare» (sottoposto alla Regola), sottoposto agli abati, per distinguerlo dal clero diocesano sottoposto ai vescovi, detto secolare (perché vive nel saeculum, la quotidiana realtà del mondo). Le istituzioni monastiche sarebbero state da allora una delle caratteristiche più importanti della storia del Cristianesimo – in Occidente come in Oriente – fondamentali per i dieci secoli del Medioevo.

Il pontificato di Gregorio

Gregorio nacque a Roma probabilmente verso il 540 e venne eletto papa nel 590.
I suoi quattordici anni di pontificato furono fra i più fecondi di attività nella storia del papato romano.
Organizzò la prima missione romana per evangelizzare il popolo degli Angli: una missione composta, per la prima volta, da monaci benedettini, che per questa missione, per volontà esplicita del papa, modificarono l’impegno alla stabilità che avevano a suo tempo assunto.
Gregorio difese con vigore il primato di Roma contro le ingerenze di Bisanzio e, per contrastare l’ambizione del patriarca di Costantinopoli che si fregiava del titolo di patriarca ecumenico (universale), scelse per sé il titolo, semplice e umile, ma significativo, di servo dei servi di Dio, da allora utilizzato da tutti i papi suoi successori.