Tra Oriente e Occidente

Nuovi protagonisti

Tra il 622 e il 632 d.C., il profeta arabo Muhammad (Maometto) diffuse in Arabia la predicazione della rivelazione dell’Unico Dio, Allah. Si trattò di una predicazione vigorosa e decisa, che ricorre anche alla lotta armata per combattere nemici e oppositori. Con sapiente strategia, Maometto vinse le resistenze della nobiltà di La Mecca, antico centro commerciale e religioso dell’Arabia, e orientò le energie e ogni risorsa del suo popolo nella diffusione della rivelazione. Alla sua morte, nel 632, tutti gli arabi, nomadi e sedentari, erano riuniti nella nuova fede, forti e orgogliosi di appartenere a una santa comunità religiosa, la umma, decisi a combattere e anche a morire in battaglia pur di diffondere l’islam nel mondo intero.
Nei trent’anni successivi, i quattro Califfi cosiddetti ben diretti – Abu Bakr, Omar, Othman e Alì – successori legittimi del Profeta, estesero con le armi i confini dell’Islam alla Siria, alla Mesopotamia e alla Persia, all’Egitto e alla Libia. Nel 661 il Califfato divenne dinastico: governò la famiglia principesca degli Omayyadi, che fissarono a Damasco la capitale. Essi, con una nuova serie di campagne militari, estesero i confini del loro impero – e quelli della nuova fede – a tutto il Nord Africa e all’intera Penisola Iberica; a Oriente, gli Omayyadi conquistarono nuovi territori, sino ai confini dell’India. Ovunque gli arabi si imposero sui popoli conquistati e avviarono un processo di islamizzazione delle società, delle etnie e delle culture.
La nuova fede si caratterizza per un rigido, assoluto monoteismo. Testo sacro è il Corano che non è solo il libro della rivelazione, ma anche della legge religiosa e civile, e fondamento dei principi assoluti e irreformabili della vita sociale e personale di ogni singolo fedele. Il fedele manifesta con la sottomissione assoluta a Dio la propria fede e la propria appartenenza alla umma, la comunità religiosa, vera famiglia, anzi «casa», dar al-Islam, la «casa della sottomissione».

La conquista

A seguito della conquista islamica del Medio Oriente e del Nord Africa furono cancellate centinaia di piccole o grandi comunità cristiane. Molti furono uccisi, altri emigrarono verso Bisanzio o verso Roma, alcuni si convertirono, alcuni infine accettarono di pagare la dhimma e continuarono a essere cristiani – seppur con più doveri e meno diritti degli altri – all’interno dei domini musulmani. È grazie all’accettazione della dhimma che sono sopravvissute alcune importanti comunità cristiane dell’Egitto e della Siria. In altri territori, come in Libia, in Tunisia, in Marocco, centinaia di chiese scomparvero purtroppo per sempre.

Roma e Bisanzio

Già dalla fine del IV secolo, il mondo delle comunità cristiane dell’impero romano era andato dividendosi in Oriente e in Occidente, arrivando a rappresentare due mondi, due culture, due «stili» cristiani. I territori che facevano capo al governo di un vescovo e alla città dove era posta la sua «cattedra» – cioè dove amministrava i sacramenti, insegnava la fede, celebrava la liturgia – presero il nome di diocesi, lo stesso termine che veniva usato per indicare le grandi circoscrizioni amministrative dell’Impero. Parrocchie furono invece chiamate le Chiese sparse nel territorio della diocesi, dove celebrava il culto uno dei presbiteri più stretti collaboratori del vescovo, detto appunto parroco: il parochos era il funzionario responsabile delle stazioni di posta collocate lungo le grandi vie imperiali, luoghi strategici e assai importanti.
A partire dall’età dei grandi Concili, l’Occidente fece sempre più riferimento in modo pressoché esclusivo alla Chiesa di Roma, mentre il latino sostituiva sovente, come lingua franca, il greco nella liturgia, nella lettura delle sacre Scritture, nei rapporti fra le diocesi.
L’Oriente, invece, restava orgogliosamente fedele alla lingua greca, e al prestigio delle grandi sedi apostoliche di Gerusalemme, Alessandria d’Egitto, Antiochia di Siria, e Costantinopoli. L’importanza e l’autorità di queste sedi erano state solennemente riconosciute dal Concilio di Calcedonia, in primato di onore della Chiesa di Roma, dove aveva in Pietro, che lì era morto martire.
Sempre più chiaramente si definivano caratteri propri dei due ambiti culturali: orgoglioso dell'autonomia delle proprie Chiese, del prestigio dei propri centri di alta cultura, del rapporto privilegiato con il potere imperiale, dei raffinati studi teologici e filosofici il mondo greco; legato alla cultura latina, alla disciplina giuridica, all’agire pratico, al riferimento esclusivo alla sede di Pietro e al papa in quanto vicario di Cristo, il mondo occidentale. Questi caratteri, per diverse ragioni, saranno elementi di arricchimento e di maturazione dell’esperienza cristiana: ma purtroppo, molto spesso, saranno anche occasioni di contrasti, di divisioni, di lotte, persino di violenze del tutto indegne del nome cristiano.