Il difficile compito di scegliere

L’aspetto cristologico dell’agire morale

Il concetto della centralità di Gesù Cristo nell’agire morale è affermato dal Concilio Vaticano II: «Cristo è la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (cf. Gaudium et spes 10). Inoltre viene ribadito (cf. Gaudium et spes 22) che:

• Cristo è l’uomo per eccellenza, il prototipo e il modello di ogni vera umanità. Tutti gli uomini sono stati salvati da Gesù ed è in Gesù che tutti gli uomini possono diventare figli di Dio.

• Cristo è morto per tutti. Perciò con Cristo si va oltre l’elezione di una persona, una famiglia, un gruppo etnico, un popolo, si supera l’adozione limitata a un gruppo di fortunati e si fonda la chiamata di tutti gli uomini alla vita divina. È perché Cristo è morto per tutti che tutti gli uomini sono chiamati a essere figli di Dio. Non si può più parlare di una vocazione a essere uomini (naturale) e di una a essere figli di Dio (soprannaturale). Il testo del Vaticano II afferma che lo Spirito, attraverso mezzi che solo Dio conosce, ha la possibilità di far sì che tutti gli uomini possano essere associati al mistero pasquale. In altre parole in Cristo, vero Dio e vero uomo, avviene la riconciliazione tra il divino e l’umano.

L’identità del cristiano

Poiché il cristiano è divenuto per mezzo del Battesimo nuova creatura in Cristo, l’imperativo morale sarà quello di vivere questa vita nuova. La persona partecipa della figliolanza divina, è stata creata a immagine e somiglianza di Dio, è stata redenta dal Figlio ed è pertanto chiamata a rendere ben visibile questa realtà. Lo Spirito la rende partecipe del mistero pasquale e la indirizza verso l’adesione al modello Gesù, spronandola a cambiare completamente la sua vita. In questo modo, nella persona di Gesù il cristiano accoglie la venuta del Regno e allo stesso tempo la sua azione di salvezza che libera l’uomo dalla morte e dal peccato. Aiutato dallo Spirito la persona è dunque resa capace di diventare conforme a Cristo fruttificando nella carità e donando completamente se stessa.
Questo è il principio interiore che spinge il cristiano a compiere il bene. Con l’aiuto dello Spirito la persona riesce a conosce il bene nella fede, la grazia aiuta la volontà a volere il bene e in questo modo la persona viene inclinata ad adempiere alla carità. Così viene trasformato il comportamento umano. In quanto famiglia dei figli di Dio, e luogo primario in cui si instaurano le relazioni, l’ambiente adeguato al formarsi dell’identità del cristiano è la Chiesa. Nella Chiesa l’identità del cristiano può essere elaborata alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana.

Il bene della persona

Il soggetto che assume una decisione è la persona e l’azione che ne deriva è importante, perché ogni atto ha la capacità di rendere trasparente ciò che l’uomo è.
Il bene della persona è una realtà complessa costituita da un insieme di fattori: soddisfazione di necessità vitali, riconoscimento sociale, una buona vita affettiva e culturale. Il livello più alto tuttavia è costituito dall’interiorità e dalla comunione con Dio. Ogni azione umana deve tendere al bene di tutta la persona e non a un solo aspetto. Importante dunque è il fine che l’azione vuole perseguire: il Bene.

La conoscenza morale

La conoscenza morale fa riferimento a un preciso ordine di valori e deve essere il risultato di una scelta e di un’adesione personale. Non è sufficiente che una persona conosca quali siano i valori, ma è necessario che li senta e ciò ha a che fare con la maturità e presume che essa venga educata. Il cristiano assimila i valori nella fede: essa pone al vertice l’amore del prossimo che ha come sorgente l’amore per Dio. La partecipazione in Cristo alla vita nuova consente al cristiano di fare chiarezza nella propria vita e insieme di entrare in possesso di un criterio (Cristo) secondo il quale adeguare le proprie azioni. A decidere la moralità dell’atto è la libertà, che però è una realtà ambivalente. L’uomo sa che la libertà non è assoluta poiché il campo di azione è limitato da molte condizioni. D’altronde è errato ritenere che l’uomo sia totalmente determinato. Egli infatti è in grado di conoscere il bene assoluto, anche se è costantemente attratto da beni parziali e provvisori, servendosi della ragione.
L’opzione fondamentale è la sorgente del modo di essere, di pensarsi e di agire dell’uomo. È il nucleo della persona che decide ed è qui che viene elaborata e determinata l’opzione fondamentale. L’uomo non è mai, per quanto possa essere sincero nella sua opzione fondamentale, così unitario nella sua scelta da eliminare qualsiasi tendenza contraria. Durante la vita le scelte di fondo possono cambiare.
L’opzione di fondo è essenzialmente una decisione pro o contro il Bene e implica per il cristiano la scelta di rispondere di sì o di no a Dio. Per il cristiano il bene non è qualcosa di impersonale, ma è Cristo stesso che chiama a seguirlo.

La coscienza, luogo della relazione con Dio

È all’interno della coscienza che l’uomo ha la possibilità di entrare in relazione con Dio e di aderire a quella legge morale che lo chiama ad amare Dio e tutti gli uomini. Nessun uomo può lasciare che altri assumano decisioni per lui, neppure quando la sua coscienza si sta sbagliando.
Poiché la coscienza deve essere seguita, ma può sbagliarsi, la persona deve essere costantemente in formazione per andare verso una progressiva e costante maturazione. In particolare il cristiano è chiamato a confrontarsi con la legge divina e le indicazioni del magistero della Chiesa.

Il peccato

Oggi parlare di peccato è molto difficile: pare che l’idea di peccato sia stata completamente rimossa. A determinare questa eclissi hanno concorso alcuni fattori:
• la secolarizzazione. La possibilità che ci possa essere un peccato viene annullata dall’affermazione della totale autonomia dell’uomo e del mondo da Dio. Nella Bibbia infatti compiere un peccato è prima di tutto non riconoscere Dio come Signore, rifiutare di essere in alleanza con lui e come conseguenza non accettare di realizzare l’ordine da lui instaurato;
• le scienze umane hanno messo in risalto i condizionamenti a cui ogni individuo è sottoposto finendo col negare la libertà dell’uomo. Peccato e libertà sono due realtà interconnesse poiché un uomo può peccare solo nella misura in cui è libero;
• in un mondo dove l’interdipendenza è aumentata, si è messa in risalto l’incidenza dei fattori strutturali a livello globale sulle scelte delle singole persone. Accentuare la responsabilità dell’ambiente, non essere in grado di individuare la libertà del singolo,porta alla negazione della possibilità di compiere un peccato.

Nella Bibbia

Nella Bibbia essere in peccato è prima di tutto rifiutare Dio, non voler entrare a far parte del suo progetto di salvezza e violare i precetti della Legge. Il paradigma di ogni peccato, quello descritto in Genesi 3,1-24, consiste prima di tutto nel rifiuto dell’uomo a riconoscersi creatura e nel rigetto della comunione d’amore offerta da Dio. I profeti presentano il rapporto tra Dio e Israele come un rapporto matrimoniale dove il peccato è rappresentato dall’adulterio (Ezechiele 16,8-15; Osea 2,1-5; Geremia 3,1-5.20; 9,1; 11,10; Isaia 24,5; 48,8).
È l’evangelista Luca a dire che Gesù è venuto «per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei loro peccati» (Luca 1,77). In Gesù, l’umanità e la divinità finalmente possono stare insieme in rapporto di comunione; questo mistero si compie totalmente nel mistero pasquale. Nella risurrezione il male è stato vinto e ha inizio la completa riconciliazione dell’umanità con Dio. In quest’ottica il peccato è il rifiuto di entrare nella redenzione.
Il peccato come rifiuto di Dio è la rottura di un rapporto personale con lui e ciò non può non avere influenza sui rapporti con gli altri e finisce per coinvolgere anche la relazione col creato. È ciò che avviene nel prototipo del peccato proposto dal racconto di Genesi (3,12-24).
La dimensione sociale del peccato è costituita:
• dalla ricaduta che ciascuna azione peccaminosa ha sugli altri;
• dalle azioni contro la giustizia;
• dal peso che il peccato di tutti ha su ciascuna persona, e che la disumanizza. È questo quello che Giovanni descrive come «peccato del mondo» (Giovanni 1,29) ossia una potenza osti le a Dio che si consolida e prende vigore a causa dei peccati dei singoli.

Il peccato è l’espressione di una libera scelta della persona. La sorgente dell’atto di ribellione dell’uomo a Dio è l’orgoglio (cf. Genesi 3,5; 11,4). Il luogo in cui l’uomo avverte il senso della colpa è il cuore (cf. Genesi 6,5; Salmo 51,5s). Secondo Gesù, il peccato è dentro il cuore e questa realtà peccaminosa è presente anche nel cuore di coloro che si credono giusti (cf. Matteo 7,21-23).